Se prendiamo per buoni gli esiti dell’ultimo “Customer Service Barometer”, una ricerca che annualmente è condotta per conto di American Express, il 39% dei consumatori italiani rinuncia ad un acquisto al quale era disponibile non perché tutto ad un tratto il prodotto non gli va più a genio, ma perché nel suo complesso trova scadente il servizio che gli viene offerto.
La percentuale è piuttosto elevata ma, a quanto pare, non siamo messi poi così male: in Gran Bretagna il dato raggiunge il 42%, negli Stati Uniti sale al 52% e in Messico o a Singapore addirittura al 66%. Fra i paesi presi in esame dalla ricerca, solo in Giappone le cose vanno meglio: da quelle parti rinuncia il 20%.
Siamo tutti consapevoli come a volte possa davvero bastare poco a compromettere una vendita – soprattutto, una vendita futura – nello sviluppo del cosiddetto customer journey, l’itinerario che il cliente compie a partire dal momento in cui matura un’intenzione di acquisto.
Così come un’unica stonatura ha effetti devastanti sulla performance di un tenore, qualsiasi dettaglio nel business può avere un’influenza irrimediabilmente negativa. Gli eccessivi tempi di attesa, il display del negozio, le uniformi dei dipendenti, il package di un prodotto, una musica assordante: è infinita la lista dei fattori che possono concorrere a vanificare ogni sforzo. Magari il cliente alla fine compra ugualmente, ma ci si può scommettere che non lo si rivedrà più.
Oggi ormai si è finalmente diffusa la convinzione che nel campo della customer experience si gioca una grossa fetta delle sfide che un’attività di natura economica si trova ad affrontare con i propri competitori sul mercato. Un anno fa una ricerca di Gartner rivelò che nel mondo il 37% dei CEO riteneva che la customer experience costituisse il versante principale su cui concentrare gli investimenti.
È diventata familiare anche l’espressione customer delight, identificata come l’obiettivo cui tendere, e cioè la delizia del cliente, sorprendendolo con cose che vadano ben al di sopra delle sue aspettative. “Cose”, ad esempio, come i droni che in Cina consegnano già oltre mille pacchi al giorno. Ma è davvero nelle “cose” l’essenza della customer experience? Ecco, non vorrei che ci si concentrasse troppo sulle “cose” a scapito dei “chi”, delle persone. Una relazione si stringe con una persona, non con una asettica “chatbot”.
Lo scorso anno Hoepli ha pubblicato “Oltre il prodotto”, un libro che racconta come nel 2012 Steve Cannon, da pochi mesi nominato presidente della Mercedes Benz Usa, in nome della customer experience annunciò che “ogni dipendente, in ogni concessionaria, sarebbe stato formato e dotato di tutti gli strumenti indispensabili”.
Gli americani amano stilare ogni genere di classifica e all’epoca la filiale statunitense della casa automobilistica di Stoccarda, in fatto di soddisfazione della clientela, figurava al ventiduesimo posto nel paese. Cannon la portò in vetta e, soprattutto, il primato fu accompagnato da vendite record che superarono la soglia dei 20 miliardi di dollari.
La Mercedes che Cannon aveva ereditato era un’azienda di cui un cliente aveva detto “Mi hanno dato l’impressione che si aspettassero dovessi ringraziarli per avermi permesso di acquistare il loro prodotto”.
La Mercedes che poi nel 2016 Cannon ha lasciato, per dedicarsi ad una nuova azienda professionale, si era trasformata in un’azienda in cui un dipendente si era affannato a smontare i sedili di un’auto per scovare dove fosse finito un orecchino, dopo aver saputo che una cliente l’aveva smarrito, e in cui un altro dipendente era corso ad acquistare un sacchetto di popcorn per regalarli ad un bimbo affranto perché quelli che stava sgranocchiando si erano rovesciati sul tappetino.
Immaginiamoci di assistere ad una rappresentazione teatrale. Testo, scenografia, luci, acustica perfetti. Ma di contro la compagnia degli attori che si muove sul palco ha una recitazione incerta, meccanica, poco espressiva.
Potrà mai venirne fuori un bello spettacolo? Insomma, ben vengano le “cose”, gli effetti speciali. Non dimentichiamoci però che per il successo di una customer experience è determinante il comportamento dei “chi”, delle persone. E lo è anche quando la loro presenza è discreta e il loro ruolo è marginale, quindi da comprimari o addirittura da comparse e non da protagonisti.
Io appartengo a coloro che nella scelta delle persone privilegiano le competenze relazionali rispetto alle competenze tecniche, che pure restano basilari.
La ricerca di American Express ha messo in luce ad esempio come in tutti i touchpoints, ossia la generalità dei contatti compresi quelli che precedono e seguono un acquisto, il cliente pretenda professionalità, intesa in particolare come capacità di fornire risposte e farsi carico di eventuali problemi.
Non c’è niente di peggio che sentirsi dire “Non dipende da me” o “Non è compito mio”. Non meno apprezzata però è l’empatia, intesa come capacità di connettersi con la personalità e le esigenze del cliente.
Riducendo all’osso, trovo che almeno quattro soft skills sono essenziali per far vivere un’esperienza d’acquisto, se non memorabile, quanto meno meritevole di essere ripetuta. Vediamole:
- ORIENTAMENTO ALLA FIDELIZZAZIONE. Spesso non ci sono le condizioni per ottenere un risultato, ma esistono sempre le condizioni per gettare le basi grazie alle quali ottenere un risultato futuro.
- CAPACITÀ DI ASCOLTO E DI INTERESSE. C’è una sola persona che può dirti cos’è che fa vivere a quel cliente un’esperienza d’acquisto soddisfacente: ed è esattamente quel cliente stesso.
- PERSONALIZZAZIONE E CREATIVITÀ. Siamo tutti indifferenti a ciò che è scontato e banale. Può fare viceversa una notevole differenza quella che gli anglosassoni chiamano “cue”, la battuta di entrata, quella con cui si accoglie o precede una stretta di mano. A patto che non sia sempre la stessa o che la si rivolga invariabilmente a tutti.
- CAPACITÀ DI STUPIRE E DI SUPERARE LE ASPETTATIVE. Più dai e più hai: la legge della reciprocità è forse quella che ha più successo nelle relazioni. Più fai e più creerai le condizioni per essere ricambiato.
E’ ora di mettersi al lavoro!