I test come strumento di predittività
Appena due anni dopo la pubblicazione del libro di Murphy Paul, cioè nel 2006, ad alimentare il dibattito fu il canadese Robin Kotze-Stuart, titolare di cattedre in numerose università compresa Oxford. Lo fece anche in questo caso con un libro che era intitolato “Performance” e sottotitolato “I segreti di un comportamento di successo”.
Già nelle prime pagine Kotze-Stuart condensò in dieci punti le conclusioni delle sue ricerche e dei suoi studi. Il nocciolo era già nei primi tre, così enunciati:
- La personalità non determina la performance
- Il comportamento determina la performance
- Non esiste un ideale set di comportamenti che costantemente porti ad un alto livello di performance
Abilità e capacità, sostenne Kotze-Stuart, non hanno a che fare con tratti della personalità o della genetica, esse hanno a che fare con il comportamento. “Al pari della dei tratti della personalità e della genetica, il comportamento – aggiunge lo studioso canadese – può essere osservato, descritto e misurato. A differenza dei tratti della personalità e della genetica, il comportamento può essere cambiato con il risultato che abilità e capacità possono essere incrementate”. A riprova, una conferma spicciola del costrutto di Kotze-Stuart ce la dà in fondo la constatazione che individui caratterialmente molto distanti fra loro ottengono straordinarie performance in po’ in tutti i campi, dalla scienza alla politica, dall’imprenditoria alla finanza, dallo sport allo spettacolo.
La conclusione che trasse Kotze-Stuart fu questa: “Il livello di performance che un individuo raggiunge è dipendente dal grado con il quale il suo comportamento combacia con il tipo di comportamenti richiesti dal lavoro che svolge. Maggiore è la sovrapposizione e più elevato è il livello di performance”.
I test comportamentali
La predittività di un’analisi che si fonda sui comportamenti ha come presupposto che quegli stessi comportamenti accertati nel tempo presente si riproducano anche in futuro. La probabilità che ciò succeda è estremamente elevata se si tratta di comportamenti “tipici” dell’individuo esaminato e perciò “stabili”.
La stabilità è certamente una prerogativa della personalità, dentro la quale vanno comprese le capacità intellettive. Perché allora attribuire una scarsa capacità predittiva ai test che misurano l’intelligenza o descrivono una personalità? Una risposta la fornì Lee Cronbach, un eminente psicopedagogista della Stanford University, con i suoi studi.
Lee Cronbach si è occupato a lungo di test psicometrici e nel 1951 ideò un modello che ha fatto scuola per verificare l’attendibilità di un test proprio in termini di riproducibilità nel tempo, a parità di condizioni, dei risultati che può evidenziare.
Riguardo l’intelligenza, Cronbach ha spiegato che la sua misurazione può indicarci la capacità massima che un individuo possiede per ottenere una performance. Lo stesso può dirsi della personalità. La potenzialità di per sé non è garanzia di risultato. Per cui individui che pure hanno una predisposizione cognitiva o attitudinale per raggiungere determinati risultati falliscono sistematicamente mentre altri meno dotati hanno costantemente successo.
I comportamenti, come è unanimemente riconosciuto, sono il prodotto di personalità, situazione, motivazione e umore, cioè di quattro elementi che combinati fra loro determinano la performance. Ciò spiega sia la conversione di Google che li ha eletti a criterio principe nella valutazione dei candidati sia la crescente preferenza che il mondo dei selezionatori sta accordando ai test comportamentali.